Siccità di Paolo Virzì
È sempre difficile parlare di capolavoro. Oggi siamo sommersi dagli aggettivi superlativi qualunque cosa succeda, basta che sia leggermente superiore alla media.
Poi sbatti con gli occhi e con l’anima dentro un film del genere e capisci subito che se non è un vero capolavoro, quantomeno è un film diverso.
E vista l’omologazione a cui siamo ormai da tempo avvezzi, la diversità (di temi, di ambientazioni, di prospettive e perfino di relazioni umane al limite del paradossale) pare già un valore difficile da trovare ad ogni angolo di strada. Figuriamoci a cinema.
E invece ecco qua: una porta che si apre in un appartamento e a terra ci trovi un po’ di insetti che ti fanno schifo solo a guardarli.
Oppure una ripresa dall’alto ti mostra una panoramica di Castel Sant’Angelo con il Tevere di sotto completamente a secco. Ti senti sballottolato come se stessi giocando a qualche strano videogame in cui non capisci bene come si gioca.
Poi ecco man mano snodarsi i vari personaggi come carte disposte a caso sul tavolo di gioco.
Una Porsche lanciata da una donna a tutta velocità su strade deserte del centro di Roma che quasi investe un ragazzo.
Un magazziniere in un carcere che ritira le lenzuola usate e distribuisce quelle pulite.
Un fanatico dei social che è fissato per le dirette e sta sempre lì a controllare i likes ricevuti.
Un gruppo di musicisti che fanno delle prove tra i quali ce n’è uno che si sta sentendo male.
Un professore intervistato alla televisione sui cambiamenti climatici – che ci ricorda qualcosa del nostro passato recente.
Un tassista perennemente assonnato con visioni di gente scomparsa che siede sul sedile posteriore del suo taxi.
Robe così, a caso, dicevamo. Se conosci Virzì, lo sai fin dall’inizio che quei personaggi sono legati da qualche filo invisibile, ma non potresti mai capire quale sia quel filo.
E poi vedi attori conosciuti (Claudia Pandolfi, Mastandrea, Silvio Orlando, Marchionni, Tommaso Ragno) e ti senti al sicuro, ma poi ne vedi altri meno conosciuti – o che forse non hai mai visto – che attraverso i loro personaggi ti trascinano dentro lo schermo con la loro capacità e credibilità.
Non stacchi nemmeno per andare a prendere i popcorn, la trama è veloce e avvincente come solo i grandi film sanno essere e ti cattura senza darti tregua. Devi essere veramente Iceman per non farti trascinare dentro la vicenda, vuoi per lo schifo delle blatte sul pavimento, vuoi per l’esplicito e un po’ rivoltante individualismo che accompagna quasi tutti i protagonisti della pellicola.
Giacchè è vero che siamo attirati dall’ “eroe buono”, ma pure quando c’è qualche figliodiputtana ci attira molto, forse per darci la conferma che così non vorremmo proprio essere.
Magia del cinema: processo di identificazione oppure di rigetto, che sempre una identificazione è, pure se al negativo.
Mina ci solletica l’orecchio con la sua voce e la musica dal passato, ma le immagini di Roma sono proiettate ad un futuro prossimo che pure potrebbe capitare nemmeno se l’umanità continua ad essere sorda alle sue grida d’aiuto.
Chi scrive non se ne frega niente dei messaggi reconditi, ma la pellicola lancia denunce niente affatto subliminali. E quelle denunce non riguardano soltanto l’ambiente: essa parla di una costante e irrimediabile perdita di umanità.
E per quella non ci sono ricette su basi governative: bisogna fare qualcosa da subito, partendo ciascuno dai propri vissuti personali, altrimenti chiamati valori.
Sarebbe bello tornare ad avercene.
Dino De Angelis
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